Relazioni precoci e relazione terapeutica: come raggiungere l'alleanza terapeutica?
di Cecilia La Rosa * e Alessandra Muscetta ** Psicobiettivo, 2010, vol 30, n. 1, pag.17-31.
RELAZIONI PRECOCI E RELAZIONI TERAPEUTICHE: LE FRATTURE
Il modello interpersonale nel cognitivismo clinico come, da tempo accade anche nella psicoanalisi, considera la mente, la personalità e quindi la psicoterapia come realtà fortemente influenzate dai processi interattivi.
Sembrano quindi ormai molto lontane le affermazioni di Mahoney quando criticava la terapia cognitiva standard e sottolineava la visione ristretta della relazione terapeutica che “ … poneva con eccessiva enfasi gli aspetti normativi e pedagogici rischiando così di oscurare la complessità degli eventi relazionali che avvengono in psicoterapia e così anche il ruolo del processo terapeutico….” ( Semerari,2000),
Anche il modello cognitivo ha cioè visto evolvere la sua pratica clinica che , prima fortemente influenzata dall’idea che la mente potesse essere descritta in termini di pensieri disfunzionali o irrazionali ora , al contrario, è anche indagata come entità risultante da processi interattivi ed interpersonali. Come relazionarsi allora con i pazienti e rendere le terapie più efficaci e meno a rischio di interruzioni precoci ?
L’attenzione ad alcune caratteristiche relazionali di base del terapeuta e del paziente può rendere l’uso di certe tecniche nei protocolli standard più efficaci ?
In che modo un terapeuta può mantenersi flessibile ed aperto ,senza privilegiare troppo le tecniche, anche nei momenti di difficoltà ? Queste le domande che sembrano ricorrere più spesso nelle supervisioni, nei dibattiti scientifici ed in altre occasioni di scambio clinico.
Sempre più spesso quindi si sente ripetere tra gli psicoterapeuti la frase “cio’ che cura e’ la relazione” e certamente questo assunto e’condiviso ampiamente da molti modelli teorici: Safran e Muran (2003) ad esempio considerano l’alleanza terapeutica come un contesto di “negoziazione intersoggettiva” dove i due attori negoziano i propri bisogni nel corso della durata della intera terapia. Seguendo la loro teoria l’alleanza terapeutica, e le fratture e le risoluzioni delle fratture , diventano momenti centrali del processo di cambiamento in quanto finestre significative sul mondo soggettivo del paziente. Attraverso la consapevolezza di questi meccanismi relazionali , agiti nei confronti del terapeuta, il paziente acquisisce la conoscenza dei suoi schemi maladattivi interpersonali. Il terapeuta analizzando insieme al paziente i motivi delle fratture dell’alleanza sara’ in grado di rivivere e ricostruire con il paziente gli schemi interpersonali di entrambi e di segnalare al paziente i suoi malfunzionamenti. Tanta attenzione all’alleanza terapeutica corrisponde ad uno spostamento del modello terapeutico sul qui ed ora dell’alleanza terapeutica e su forti elementi metacomunicativi all’interno della terapia.
Safran e Muran hanno proposto anche una sorta di guida per la risoluzione delle rotture terapeutiche nelle quali si susseguono 4 fasi principali:
1)Evidenziare i punti di rottura
2)Esplorare l’esperienza di rottura
3)Esplorare l’evitamento
4)Individuare il desiderio ed il bisogno sottostante
Un’ altra questione chiave sia per i ricercatori che per i clinici potrebbe essere riassunta da un quesito come questo : E’ possibile una prospettiva integrativa dell’idea di relazione terapeutica e del cambiamento in psicoterapia?
Dalla prospettiva dell’ attaccamento sappiamo bene come il terapeuta possa agire “ fisicamente “ come base sicura, ma anche come rappresentazione mentale di una figura capace di ascoltare e comprendere la sofferenza emotiva rendendola più tollerabile; questa esperienza , che potremmo definire “ interpersonale correttiva “ comincia a gettare le fondamenta per nuove competenze emotive e quindi per una maggiore autonomia dai vecchi schemi mal adattivi. La psicoterapia appare così caratterizzata da un ritmo costante di esperienze di contenimento ( la base sicura ), di momenti di insight ( aumento della capacità riflessive ) e di nuove esperienze emozionali.
Il termine predeterminato delle sedute costituisce un ritmo interattivo di separazioni e riunioni; lo scambio clinico può vedere ripetersi come momenti di buona intesa come pure di incomprensioni, acting out di grande rilievo come semplici microfratture del dialogo (Holmes,2000). La capacità di riparare con continuità le rotture costituisce di per sé uno strumento terapeutico e può consentire un’esperienza molto diversa rispetto a quelle avute con le fonti di insicurezza che il paziente ha sperimentato in precedenza. Così ,come nella Strange Situation la capacità del caregiver nel rispondere alla protesta del bambino e di aiutarlo a ristabilire la BASE SICURA dopo una breve separazione fornisce il carattere di Attaccamento Sicuro a quella relazione ,così anche poter essere compresi e condividere l’esperienza delle rotture nell’alleanza terapeutica diventa basilare per poter correggere il funzionamento interpersonale. L’attaccamento nella relazione terapeutica diventa via via più sicuro man mano che le memorie di sé dissociate vengono recuperate ed integrate.
Safran e Muran ci ricordano inoltre che fino a quando la terapia cognitiva non si è occupata di disturbi di personalità i problemi specifici di come si costruisce e si mantiene una buona relazione sapendone affrontare i momenti di rottura , non sono stati affrontati.
Hardy,Chill e Barkham ( 2010), più in generale, hanno recentemente presentato un modello esemplificativo dei fenomeni più comuni nella relazione terapeutica dopo aver effettuata una revisione sistematica della letteratura sul tema relazione terapeutica – paziente e hanno costruito una mappa concettuale che illustra come la relazione terapeutica si sviluppi sempre all’interno di 3 fasi principali:
a)STABILIRE LA RELAZIONE; b) SVILUPPARE LA RELAZIONE; c)MANTENERE LA RELAZIONE
Le tre fasi rappresentano 3 momenti di un ciclo, ma si possono osservare nel micro processo di una singola seduta o di un ‘insieme di sedute ravvicinate; per es.una pausa del trattamento ( per malattia, vacanze del t, o altre assenze del t. ), oppure un commento, un certo intervento del terapeuta, possono determinare una certa insoddisfazione nel paziente, come anche un peggioramento dei sintomi .
In tutti questi casi è necessario che il terapeuta lavori per riparare la rottura e può farlo utilizzando varie strategie e tecniche,differenziate secondo il proprio modello di riferimento.
Sempre nella cornice della teoria dell’attaccamento ci piace ricordare le parole di un altro autore ,Robert Bruce , che ci sembrano una sintesi efficace ed insieme una traccia per le ricerche future : ” Un terapeuta nella cui formazione rientra la teoria dell’attaccamento deve essere preparato a provare, riprovare e provare ancora a creare un legame…”
Ma creare un legame non è anche stabilire una buona alleanza terapeutica ?
La prospettiva teorica che stiamo presentando pone al centro della sua trattazione il rapporto tra processi interpersonali e qualità delle funzioni mentali e presuppone ,tra gli altri, tre concetti di base:
1 ) che nella relazione terapeutica il paziente riattivi schemi interpersonali tipici delle sue esperienze precoci e li rivolga al terapeuta. Tali riattivazioni potrebbero essere accomunate al modello dei i test di Weiss e Sampson (1986) .
2) che la riattualizzazione degli schemi e la loro patogenicita’ non sia confermata dal terapeuta ma al contrario egli sia in grado di cogliere le fratture dell’alleanza e di stabilire una comunicazione calda e collaborativa che favorisca la comunicazione degli e sugli schemi stessi del paziente (ed eventualmente del terapeuta) che favorisca da parte del paziente la presa di coscienza e la distanza critica.
Tuttavia nel processo terapeutico l’esperienza stessa di un rapporto caldo e collaborativo potrebbe determinare una esperienza emotiva correttiva che favorisca la presa di coscienza e e lo sviluppo di capacita’ autoriflessive nel paziente senza che sia necessaria come dicon Safran e Muran la continua meta comunicazione sull’alleanza stessa.
Quali potrebbero essere i punti di condivisione tra questi enunciati? Forse si puo’ dire che per “curare” c’e’ bisogno di un “clima” caldo e collaborativo , ovvero di una buona alleanza terapeutica che oltre ad essere una esperienza emotiva correttiva in se’ , ovvero il paziente sperimenta la possibilita’ di una relazione sicura
, è anche motore di un incremento delle capacità autoriflessive o meta cognitive del paziente (Semerari 1991,1999) . Un processo che alteri la costituzione dell’alleanza terapeutica ab inizio o in qualsiasi fase della terapia inficia automaticamente la costruzione o la progressione di funzioni meta cognitive nel paziente , conditio sine qua non nessun altro intervento terapeutico avrebbe buon esito . All’interno di schemi di relazione paziente terapeuta mal adattivi anche le funzioni meta cognitive del terapeuta potrebbero essere inficiate e di conseguenza le sue capacita’ di decodifica. Molti studiosi, (Fonagy, 1995, Main 1990) sostengono un rapporto diretto e riverberante tra attaccamento sicuro e meta cognizione che nel corso della vita si influenzerebbero vicendevolmente. Secondo questi autori la meta cognizione si sviluppa in una condizione di attaccamento sicuro, l’attaccamento è influenzato a sua volta positivamente dalla qualità delle capacita’ meta cognitive dei genitori, in particolare dalla loro capacità di avere una teoria della mente del bambino ovvero di pensare al bambino come un essere pensante. Possiamo pensare che le capacita’ meta cognitive aumentino con l’attivazione
del sistema dell’attaccamento nella misura in cui questo sia in grado di evocare una risposta di accudimento adeguata .
L’opera di Bowlby e la teoria dell’ attaccamento è stata introdotta da tempo anche nella psicoterapia cognitiva, fin dai primi anni Ottanta, grazie al lavoro di Vittorio Guidano, Gianni Liotti e Giancarlo Reda, introduzione che ha avuto immediatamente delle implicazioni cliniche importanti. Liotti , nell’evoluzione successiva del suo modello, ha poi sviluppato altri aspetti della lezione bowlbiana come l’approccio etologico-evoluzionista e la teoria della motivazione,che discende direttamente dalla teoria dell’attaccamento. I diversi sistemi motivazionali interpersonali sono visti come moduli autonomi che processano l’esperienza di sé e di sé con l’altro in tutti i contesti relazionali, compresa la relazione terapeutica , ci guidano pertanto nel difficile compito di comprendere meglio la natura dei cicli interpersonali che si svolgono tra paziente e terapeuta.( Semerari,2000). Secondo Liotti e la sua teoria multimotivazionale (Liotti, 1994/2005) l’alleanza terapeutica comporta principalmente l’attivazione del Sistema Motivazionale della Cooperazione sia nel paziente che nel terapeuta. Il sistema cooperativo e’ basato sulla tendenza innata a condividere intenzioni , obiettivi e azioni in modo paritetico Liotti 2009, Tomasello 1999). Le rotture dell’alleanza terapeutica corrispondono ai passaggi dal piano cooperativo a piani in cui sono attivi continuativamente altri sistemi motivazionali come la reciprocita’ attaccamento accudimento, l’attivazione di piani competitivi ( sistema agonistico) l’attivazione di dinamiche di tipo sessuale. Il modello cognitivo evoluzionistica sostiene che le rotture terapeutiche sono da ricondurre all’esperienza precoce di attaccamento del paziente. Gli stili di attaccamento precoce sono riconducibili a specifici pattern di attaccamento identificati con la “strange situation” da Mary Ainsworth (1978) : i pattern identificati sono: sicuro, evitante, resistente, disorganizzato. Esistono ampi studi che correlano i pattern di attaccamento agli atteggiamenti delle figure di accudimento misurati tramite l’Adult Attachment Interview e alla formazione di specifici modelli operativi interni (MOI) . La relazione terapeutica con i pazienti si instaura, secondo il modello cognitivista su modello delle relazioni precoci del paziente. La formazione di una alleanza terapeutica passa attraverso l’identificazione degli schemi disadattavi del paziente e la possibilita’ di passare ad una relazione caratterizzata dalla collaborazione paritetica. I passaggi sarebbero :
1)dalle relazioni precoci alla relazione terapeutica: la relazione s instaura secondo i vecchi schemi del
paziente e quindi e’ passibile di rotture, test di validazione, empasse.
2) passaggio dall a r el azi one t er apeuti c a all ’all eanz a terapeuti c a quando l’analisi esplicita dei modelli o l’esperienza di una relazione sana, o il superamento di test (Weiss , Sampson, 1986) consente l’instaurarsi di una relazione paritetica e improntata sul sistema della cooperazione.
3) All’interno di una alleanza cooperativa aumentano le capacita’ metacognitive del paziente.
Per esemplificare e ‘ plausibile pensare che un bambino classificato come “ sicuro” alla strange situation,
possa diventare un adulto classificabile come “libero” (free) all’Adult Attachment interview (AAI) (Hesse,
1999) ed avere un MOI (modello operativo interno) che prevede una valutazione positiva delle emozioni di attaccamento proprie e altrui. Questo bambino, divenuto adulto affontera’ le relazioni interpersonali e dunque anche una eventuale relazione terapeutica con fiducia nelle dimensioni interpersonali e con la capacita’ di esprimere il proprio disagio e comprendere l’altrui sofferenza. Questa persona sara’ in gado di instaurare quasi subito delle relazioni interpersonali improntate alla pariteticita’ e se bisognoso di psicoterapia sara’ in gado di instaurare una alleanza terapeutica. Un bambino classificato come “evitante” ha già sperimentato nella primissima infanzia l’impossibilità di ricevere una adeguata tenerezza protettiva e consolazione e potrebbe diventare un adulto “distanziante” (dismissing) all’AAI , ovvero una persona che sminuisce l’importanza delle emozioni di attaccamento e presentare MOI improntati alla valutazione negativa delle relazioni interpersonali a fronte della valorizzazione di temi relativi all’autosufficienza. Una persona organizzata in modo insicuro evitante/ distanziante presentera’ una difficolta’ notevole a entrare nella relazione terapeutica che verra’ sistematicamente svalutata a fronte della paura di una possibile dipendenza foriera di perdita dell’autosufficienza e dell’autocontrollo e/o di un possibile rifiuto. Il terapeuta verrà visto come un “tecnico” e la relazione terapeutica si strutturerà come un alleanza terapeutica : su un piano collaborativo nella misura in cui il mondo delle emozioni venga tenuto sotto controllo. Le possibili rotture dell’alleanza con il paziente evitante si potrebbero verificare in momenti di difficolta’ del paziente che potrebbe evitare di riferire episodi dolorosi o difficili della sua vita per mantenere dentro di se’ l’idea dell’autosufficienza: preconizzando automaticamente un rifiuto o una critica il paziente si attivera’ sul piano motivazionale agonistico in una subroutine di sottomissione e si allontanera’ dal piano motivazionale collaborativo o addirittura dalla terapia stessa.
Una paziente ossessiva in seguito ad una malattia interrompe le sedute per circa un mese . Al ritorno in terapia narra con distacco un grave episodio di pancreatite in seguito al quale per alcuni giorni ha avuto paura di perdere la vita. Narra di come ha affrontato la malattia e il ricovero le chiedo chi le sia stata accanto in quei momenti difficili e dolorosi , mi risponde perplessa: “ non volevo essere di peso ho preferito non dirlo a nessuno” ; le chiedo perche’ non le sia venuto in mente di avvertirmi della gravità della situazione e mi risponde: “ penso che anche alla psicoterapia non si puo’ chiedere troppo” . Le chiedo a chi non poteva chiedere aiuto da piccola e come si rappresenta l’idea del conforto e risponde “ mia madre è sempre stata una donna molto fredda e si spazientiva se la disturbavo o le chiedevo qualcosa” “ Se piangevo si arrabbiava con me e mi aggrediva, con il tempo ho imparato a tenere i miei problemi per me e sono stata molto meglio.” La possibilita’ di recuperare un piano collaborativo con questi pazienti e dunque la riparazione dell’ alleanza terapeutica passa attraverso la validazione empatica del “peso di sostenere da soli le proprie sofferenze”: e’ come se si dovesse passare con dolcezza e discrezione la possibilita’ di un contesto mentale condiviso all’interno del quale e’ possibile parlare delle proprie emozioni senza essere disconfermati e e’ possibile dare voce al dolore e alla solitudine sofferti.
Un bambino classificato come ansioso ambivalente o resistente alla strange situation (pattern C) , corrispondera’ in linea di massima d un modello adulto del tipo “invischiato” alla Adult Attachment Interview (AAI) e tendera’ ad una valutazione “ambivalente” sia delle emozioni e dei ricordi relativi alla sua storia di attaccamento che nelle relazioni interpersonali attuali. L’aspetto di “resistenza” al conforto, gia’ evidenziabile negli studi sui bambini (piange alla separazione e non si rassicura al ritorno e ricongiungimento con la mamma) si trasferira’ automaticamente nelle relazioni adulte e nella relazione terapeutica. Il modello operativo prevede la “non sicurezza” della figura di attaccamento: e’ come se il conforto non “entrasse” nella testa del paziente. Stiamo parlando di quei pazienti che chiedono continuamente rassicurazione e conforto, in particolare alla fine della seduta anticipando l’angoscia legata al distacco e non rassicurandosi con le parole del terapeuta. E’ molto probabile che questi pazienti abbiano avuto delle figure genitoriali imprevedibili, incostanti, e che siano convinti che le risposte di rassicurazione da parte delle figure di riferimento non siano efficaci o che siano intrusive. Le strategie di questi pazienti rispetto alla relazione con gli altri sono improntata alla difficolta’ di reperire una adeguata
“misura” e alternano le richieste compulsive di rassicurazione ai tentativi di manipolazione agli allontanamenti causati da improvvisi sentimenti di intrusivita’, critica, invasione.
Poichè hanno la tendenza a replicare questo modello nella relazione terapeutica i pazienti con modalità ansioso- resistenti vanno invitati collaborativamente a esplorare l’inutilita’ delle rassicurazioni verbali a fronte di una esplorazione/verifica guidata delle loro paure attraverso tecniche di terapia cognitiva per poter raggiungere la consapevolezza dei temi sottostanti. La sola rassicurazione risulta inefficace, e alla lunga , considerato il perdurare dei sintomi, conferma il MOI del paziente che le risposte degli altri alle sue richieste di aiuto sono inefficaci, determinando probabili sospensioni e drop out dalla terapia. Piu’ in generale questi pazienti hanno una difficolta’ ad instaurare una relazione collaborativa (alleanza terapeutica) e si spostano continuamente sull’asse motivazionale attaccamento- accudimento nella relazione terapeutica riattivando rapidamente, fin dalla prima seduta gli schemi interpersonali delle proprie esperienze infantili con il terapeuta chiedendo subito rassicurazioni e non sentendosi rassicurati e generando momenti di empasse terapeutica praticamente ad ogni seduta di psicoterapia. Il terapeuta e’ sottoposto continuamente a test sulla propria affidabilita’.
Un bambino classificato come “disorganizzato” alla strange situation puo’ corrispondere allo stato mentale adulto classificato come “disorganizzato”. I pazienti di questo tipo hanno spesso difficolta’ a ricordare traumi, perdite, e difficoltà a ricordare e riferire ricordi traumatici rispetto alla storia di attaccamento. Queste persone possono assumere comportamenti spaventati e spaventanti con i loro figli. I loro modelli operativi interni sono improntati a rappresentazioni multiple e dissociate di sé e degli altri all’interno delle relazioni. Spesso si organizzano secondo lo schema del “triangolo drammatico” ( salvatore, vittima, persecutore) dove la stessa persona, compreso il paziente e il terapeuta, puo’ ruotare rapidamente e drammaticamente da un ruolo all’altro. Lo stesso intensamente , rapidamente e drammaticamente si muovono gli stati dell’umore la cui regolazione presenta serie difficolta’ a causa della pervasivita’ delle alterazioni. Si tratta spesso di pazienti dello spettro borderline /dissociativo associati a gravi traumi
infantili. La peculiarita’ relazionale dei pazienti disorganizzati nasce dalle esperienze infantili: si ipotizza che
la relazione in grado di determinare la comparsa della disorganizzazione dell’attaccamento sia mediata dall’esperienza di paura che il bambino potrebbe avere sperimentato da parte della figura di attaccamento. Un genitore “spaventante, violento, abusante”(fright without solution ; Main , Hesse , 1990) si propone
nel doppio ruolo in rapida successione o addirittura sovrapponibile di persecutore (in quanto abusante) e di
salvatore (in quanto figura di attaccamento) generando un paradosso irrisolvibile : colui che mi ama e mi protegge e’ anche quello che aggredisce. Si configura una sorta di blocco , di conflitto insanabile tra desiderio di allontanamento e di avvicinamento che esita in una paralisi delle funzioni di integrazione della coscienza e l’impossibilita’ di mettere in atto strategie comportamentali coerenti. Tali comportamenti incoerenti si riflettono abbastanza imprevedibilmente anche nella relazione terapeutica. Studi recenti sull’attaccamento evidenziano come bambini classificati come disorganizzati sviluppino successivamente delle strategie comportamentali interpersonali alternative alla disorganizzazione: le cosidette “ strategie controllanti” (Hennighausen, Lyons –Ruth , 2005 ). In pratica i piccoli futuri pazienti si “organizzano” con una modalita’ alternativa ovvero controllare il genitore spaventante. Alcuni studi ( Lyons
– Ruth, Jacobvitz, 1999) riportano che il passaggio dall’attaccamento disorganizzato alle strategie
controllanti avviene in piu’ dell’80% dei casi : due modalita’ sono state fino adesso reperite: la strategia
“controllante punitiva” e la strategia “controllante accudente”.
La stategia controllante accudente prevede la cosidetta “inversione di ruolo”: questi bambini controllano
la figura genitoriale prendendosene cura e diventando fortemente accudenti. Rendendosi indispensabili e
controllandoli continuamente si mettono nel ruolo di genitori dei propri genitori e gestiscono la mancanza di cure ricevute da genitori spesso molto depressi di cui percepiscono la fragilita’. Nell’adulto tale modalita’ si puo’ manifestare con un senso di ansia inappropriata, senso di responsabilita’ e senso di colpa. (Hennighhausen, Lyons-Ruth, 2005 )
Nella strategia controllante punitiva i bambini mostrano comportamenti aggressivi nei confronti della figura di attaccamento: reagiscono con rabbia all’ostilita’ che percepiscono , sono oppositivi, trasgressivi, sfidanti, dominanti. Tali comportamenti sono spesso associati ad analoghi comportamenti nei confronti degli insegnanti e degli altri bambini. I comportamenti aggressivi controllanti dei bambini riattivano la rabbia da parte del genitore incrementando una relazione improntata alla competizione e al rango . Antonio 62 anni, è stato nel passato un un sex offender, e risponde ai criteri del DSM IV per pedofilia e sadismo sessuale ( Castoro, Monticelli, Muscetta, La Rosa 2009) . Qui di seguito il trascritto di uno stralcio di seduta in cui narra le fantasie omicide a sfondo sessuale . Le fantasie sessuali si instaurano dopo un sentimento di solitudine difficile da evidenziare durante il colloquio terapeutico. Il paziente ad un certo punto raggiunge un centro commerciale e comincia a fantasticare di mettere una bomba nell’edificio.
Paziente: “C’era soddisfazione anche quando pensavo di commettere un atto violento..e pensavo ai danni, ai feriti, ai morti..non mi dava fastidio sentire il loro odore..la sensazione di aver fatto qualche cosa di grande, mi sentivo forte.. (sistema di rango nella versione dominante secondo il metodo AIMIT n.d.r.)
Terapeuta: cosa c’entrava il sesso in queste fantasie di strage?
Paziente : il sesso in queste fantasie forse rientrava soltanto quando lo immaginavo..immaginavo lo stupro di..e di.. e di.. e di tante altre.. e si certo poi le avrei uccise .(Attivazione del sistema di rango nella versione dominante e del sistema sessuale secondo la codifica AIMIT n.d.r.)(Liotti, Monticelli, 2008).
T. E dopo che cosa avrebbe fatto?
P. Bé dopo mi sarei ucciso, tanto oramai non ci sarebbe piu’ nulla da fare. Loro mi hanno fato soffrire e io faccio soffrire loro, tutti, mi vendico e mi uccido.
Questo paziente è l’esempio di una stategia controllante punitiva in cui si attivano per la rabbia dell’abbandono , alla disorganizzazione del sistema dell’attaccamento, il sistema di rango e il sistema sessuale. Il paziente riattiva nelle fantasie il triangolo drammatico passando rapidamente da vittima (della moglie che lo ha lasciato solo) a persecutore (si vendica uccidendo e stuprando) e il terapeuta che lo ascolta e lo cura ha per ora il ruolo del salvatore (che condivide i suoi drammatici racconti). In questo stralcio di seduta la sequenza di disorganizzazione dell’attaccamento e’ narrata e dunque non e’ riferita al terapeuta. La possibilita’ di passare rapidamente ad altri stati mentali potrebbe generare improvvisi capovolgimenti nella relazione dove il paziente potrebbe vedere il terapeuta come persecutore ( non mi curi, mi abbandoni, non rispondi alle mie telefonate e cosi’ via) o addirittura come vittima tentando di sessualizzare il rapporto (facendo apprezzamenti sulla terapeuta) o di dominarla ( rabbia e aggressivita’). Di fronte a pazienti che assumono atteggiamenti controllanti punitivi, o seduttivi o sessualizzati, o minacciano di farsi del male o di fare del male a qualcuno , o di abbandonare precocemente la terapia, o che comunque suscitano intensa ansia , minaccia, impotenza nel terapeuta bisogna prendere in considerazione l’idea che nella relazione terapeutica si sia attivato un modello di attaccamento disorganizzato. In queste relazioni si avvicendano
dunque rapidamente i ruoli , gia menzionati del triangolo drammatico. Il terapeuta si potra’ dunque trovare
rapidamente in una delle 3 posizioni:
Terapeuta salvatore onnipotente : la piu’ frequente. Il processo di idealizzazione che questi paziente mettono in atto, soprattutto nella prima fase della terapia , possono indurre il terapeuta a fare concessioni a livello di setting e di relazione che rendono gradualmente la relazione sempre piu’ ambigua o invischiata, capovolgendo rapidamente il ruolo di salvatore adottato dal terapeuta in quello di vittima delle richieste sempre piu’ pressanti del paziente e poi di persecutore in quanto smette di rispondere alle richieste stesse.
Terapeuta vittima: alcuni pazienti , adottando strategia controllanti potrebbero cercare di dominare il terapeuta o con minacce ultimative , telefonate, o atteggiamenti seduttivi, o ancora tentando di prendersi cura del terapeuta con regali e forte interesse nella sua vita privata attuando il criterio dell’inversione dei ruoli evidentemente facente parte delle strategie adottate nella loro vita.
Terapeuta persecutore: quando il terapeuta , abbandonandosi alle dinamiche interpersonali del paziente collude con le figure del triangolo drammatico e le agisce con il paziente.
Supponendo che il terapeuta riesca a “giostrarsi” nelle dinamiche relazionali del paziente senza rimanere più di tanto impigliato nel rapido susseguirsi dei ruoli, la relazione terapeutica rimane sempre molto difficoltosa con questi pazienti: il rapido susseguirsi degli stati mentali non sempre, anzi raramente permette l’identificazione dei modelli operativi sottostanti, e la riflessione sugli stessi appare quasi costantemente impossibile; il tutto genera nel terapeuta un continuo senso di frustrazione e inefficacia.
LA RIPARAZIONE DELLA RELAZIONE : L’ALLEANZA TERAPEUTICA
Scopi della terapia cognitivo evoluzionista diventano dunque l’identificazione e la correzione dei MOI
insicuri e disorganizzati attraverso modalità esplicite ed implicite.
I MOI insicuri ( evitanti, ambivalenti) saranno più facili da identificare ;essi si presentano al paziente e al terapeuta, all’interno della relazione, durante il dialogo clinico attraverso la comparsa di emozioni e altri indici dell’attivazione di alcuni Sistemi motivazionali; la comparsa per es. del S. Agonistico può essere considerato un segnale per il terapeuta che il paziente ha sperimentato in passato sensazioni ripetute di insicurezza nell’ Attaccamento ( paura di essere criticato, giudicato, umiliato etc. )
L’interdipendenza tra i vari S. M.I. all’interno dello scambio clinico ha molte analogie con la teoria della cura di Weiss e Sampson che tra le altre afferamno che “ i pazienti lavorano per tutto il corso della terapia per disconfermare le loro credenze patogene, tentando di sottoporle incosciamente a verifica nel rapporto con il terapeuta…”; il paziente quindi “ allenta la rimozione e progredisce nella terapia quando è convinto di essere sufficientemente al sicuro.”
Questi tentativi rappresentano dei veri e propri Test Motivazionali, prevalentemente relativi ai Sistemi dell’Attaccamento e a quello di Rango ( Agonistico ) .La possibilità di superare questi test segnano come un passaggio dallo stare semplicemente all’interno di una “relazione terapeutica “ al muoversi dentro una vera alleanza . Questo passaggio è spesso segnalato dalla comparsa di un altro Sistema Motivazionale, quello Paritetico- Collaborativo che produce ,in ultima analisi , anche un’aumento della capacità di
mentalizzazione del paziente. Ogni momento di crisi dell’alleanza ed i successivi superamenti dello stallo terapeutico avvengono quindi attraverso l’esplicitazione degli schemi delle relazioni precoci ( MOI insicuri ) e , dopo la loro comprensione, attraverso la condivisione di esperienze interpersonali correttive.
La correzione di un modello operativo interno disorganizzato non passa dunque facilmente attraverso l’analisi degli schemi disadattivi del paziente come in altre relazioni ma segue piu’ probabilmente modelli di correzione di tipo “implicito” in quanto le capacita’ meta cognitive del paziente sono spesso inficiate.
E’ come se il terapeuta dovesse continuamente ricostruire seduta dopo seduta l’alleanza terapeutica collaborativa dopo ogni sequenza di disorganizzazione del paziente, segnalando gli obiettivi condivisi, la priorita’ delle scelte terapeutiche, il fronte unico dell’alleanza terapeutica. Il terapeuta deve proporre continuamente un “noi” collaborativo che segnali al paziente l’alleanza terapeutica per poter uscire dalle sequenze circolari dell’attaccamento disorganizzato attraverso una percezione interpersonale ci cooperazione e un sincero interesse nei confronti dei problemi del paziente.
Alcuni autori (Linhean 1993) hanno manualizzato delle tecniche per aiutare i pazienti gravi a regolare le loro emozioni attraverso la focalizzazione su obiettivi prioritari (la sicurezza , la salute, la vicinanza protettiva, la attuazione degli obiettivi di vita del paziente ) secondo un modello psicoeducazionale che risponde pero’ , a livello implicito, ai bisogni di attaccamento del paziente. La modalita’ contenitiva di tali interventi rispetta la necessita’ dei pazienti disorganizzati di sentire compresi i loro bisogni di attaccamento ed offre una esperienza correttiva altamente efficace ed implicita.
Un grande aiuto alla costruzione e ricostruzione dell’alleanza terapeutica con il paziente grave viene dall’utilizzo di piu’ setting terapeutici (co-terapia individuale e gruppo, individuale e coppia, individuale e farmacologico) purche’ si rispetti un modello teorico condiviso. La presenza di piu’ terapeuti consente sia al paziente che ai terapeuti di dividere tra piu’ contesti e depotenziare i momenti di disregolazione attraverso la loro frammentazione e risonanza nei singoli setting e di correggere passando da un setting all’altro, tramite la collaborazione tra i terapeuti , gli eventuali errori e fratture nell’alleanza terapeutica (Liotti, Farina, Rainone , 2000)
La relazione terapeutica nel suo divenire certo aumenta di complessità ma risulta più protetta consentendo a tutti, pazienti e terapeuti, una modulazione delle emozioni e dei sistemi motivazionali coinvolti nell’interazione. Tale processo, basato su cicli interpersonali che si ripetono come vere sequenze interattive della coppia terapeuta-paziente, facilita nel tempo l’aumento delle capacità meta cognitive e di altri
processi mentali superiori,che poi di nuovo influiscono, come all’interno di un circuito “ virtuoso” ,nella
regolazione affettiva della vita relazionale del paziente. Tutto questo assume particolare rilevanza se si pensa a quei pazienti con storie di gravi traumi relazionali precoci, esperienze di trascuratezza e/o di abuso.
Il timing degli interventi viene deciso via via, in base alle condizioni cliniche del paziente ma anche seguendo le interazioni specifiche all’interno di ogni setting terapeutico, in modo che il paziente e tutte le figure curanti partecipino alla costruzione di una nuova configurazione relazionale che se valutata e regolata,attimo per attimo, come un processo interattivo unico, ha grandi potenzialità “correttive “.
Sentiamo dalle parole vive di una paziente con un grave disturbo dell’alimentazione e un disturbo di
personalità del cluster b ,come ha vissuto l’esperienza dell’integrazione:
“…è la la prima volta che due persone parlano di me in questo modo…e mi prendono sul serio…quando io e
mia madre uscivamo e incontravamo altre persone lei era simpatica con tutti, scherzava con gli altri, ma con me era diversa, mi ignorava…”La paziente sta costruendo rappresentazioni di sè e di sè con l’altro più comprensibili e chiare , sempre più coerenti:
“…noi, io ,lei, e l’altra terapeuta, stiamo vivendo un momento di intense sollecitazioni..mi sento un po’
come Pollyanna, in questo periodo ho riscoperto la fame e la sazietà…la fame mi aiuta ad
organizzarmi…come il sonar guida i delfini…è un’esperienza bellissima riesco a sentire quando mi riempio e mangio quanto voglio…”
La psicoterapia cognitiva si muove quindi, senza dubbio, in una prospettiva teorica complessa e variegata ed è capace di integrare strategie e tecniche molto diverse fra loro .Il presupposto comune a tutte può essere considerato l’auto-osservazione guidata e continua che esercita su di sè il paziente, ma sempre a condizione di una buona alleanza con il terapeuta. In tutte quelle condizioni cliniche in cui sia presente una spiccata conflittualità intrapsichica e relazionale diventano di particolare rilievo le rotture dell’ alleanza motivazionale ,ancora più necessaria,in questi casi, per la continuazione stessa del trattamento e per un suo buon esito.
L’esperienze correttive si verificheranno allora non solo tra una seduta e l’altra,quando secondo lo schema classico delle terapie cognitivo-comportamentali il pazienta si esercita a testare nuove scelte comportamentali e a validare nuove esperienze interpersonali, ma anche all’interno della seduta stessa ,momento per momento,tutte le volte, cioè, che il terapeuta sarà disponibile e capace di regolare la
relazione terapeutica in linea con le emozioni e le motivazioni emerse dal dialogo clinico e di traghettarla verso una buona alleanza.
Parole chiave: Psicoterapia cognitiva, relazione terapeutica,alleanza terapeutica, Sistemi Motivazionali
Riassunto
Il presente lavoro illustra in che modo oggi , con maggiore forza, anche nell’ambito delle psicoterapie cognitive-comportamentali, si assegni un ruolo centrale alla valutazione e alla regolazione della relazione terapeutica fin dai primi momenti del processo terapeutico. Le conoscenze sui fattori che contribuiscono alla costruzione di una buona alleanza , sui fattori implicati nelle sue fratture e sulle strategie più adatte nella risoluzione di esse, fanno parte di quel bagaglio prezioso di strumenti di cui un terapeuta interessato al mantenimento di una buona relazione non può fare a meno, ai fini di una reale e duratura efficacia dell’intervento.
*Dott.ssa Cecilia La Rosa
Psichiatra –Psicoterapeuta, didatta Sitcc, Didatta SPC Napoli
Centro Clinico De Sanctis Roma- larosacecilia@gmail.com
** Dott.ssa Alessandra Muscetta, Psichiatra-Psicoterapeuta, Socio Ordinario Sitcc
Centro Clinico De Sanctis Roma- amuscetta@libero.it
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